MAN_Museo d'Arte Provincia di Nuoro

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La meta trasgredita

24.07  -  02.09.2009

Nella felice coincidenza dei rispettivi 10 anni di attivita, il Dromos Festival e il Museo MAN si incontrano per una prima collaborazione che nasce con tutte le intenzioni di creare un sodalizio per il futuro e una naturale osmosi tra due ambiti, l’arte e la musica, che da sempre si guardano e si contaminano. La vocazione del festival e del museo e per sua natura inclusiva e pervasiva, inevitabile quindi varcare le frontiere delle nostre isole nell’isola, dei diversi territori di riferimento per giocare sull’eco e sulla risonanza, non solo sui contenuti ma anche sul valore sinergico del fare insieme, del ritrarsi per fare luogo, per offrire, in linea con la nostra migliore tradizione, un invito alla condivisione.
Il tema dell’edizione 2009 del festival, la clandestinita, ci ha indotto con la sua dolorosa attualita a ripercorrerne alcune declinazioni attraverso il linguaggio del video con opere di Adrian Paci, Carlos Garaicoa, Armin Linke, Sejla Kameric, Hans Op De Beeck, Gianluca e Massimiliano De Serio, Paolo Meoni. La rassegna video La meta trasgredita, abbinata ai concerti, esplora la clandestinita e le trasmigrazioni contemporanee nelle sue connotazioni e implicazioni sociopolitiche con punte di grande bellezza simbolica e senso di sospensione e attesa non risolta.
Confrontarsi sul concetto di clandestinita e sulle implicazioni che esso sta assumendo, anche in conseguenza dell’approvazione di recenti leggi, risulta necessario in un momento di tensione sociale che tende a escludere anziche includere altri mondi culturali. Ma la cultura e frutto di continue contaminazioni e scopo del festival Dromos e di questa rassegna e anche quello di far intravedere, al di la delle inevitabili e talvolta drammatiche problematicita, gli sviluppi positivi che una vera integrazione puo portare.
I video, scelti accuratamente da Cristiana Collu e dai suoi collaboratori, sono stati proiettati singolarmente prima di ogni concerto a Oristano, San Vero Milis, Nurachi, Baratili, San Pietro, Nureci. Un invito alla riflessione per non smettere di immedesimarci in realta “altre” e per non dimenticare quando i clandestini eravamo noi… I video sono stati ritrasmessi a San Vero Milis per l’evento San Vero… in corto

 

Nel video Turn on di Adrian Paci, circa venti uomini, tutti disoccupati, si ritrovano quotidianamente a sedere sui gradini di una piazza sperando che passi qualcuno che ha bisogno della loro forza lavoro. Immersi nel silenzio, sfilano uno per uno i volti segnati dalla fatica di questi uomini, che ci parlano con il solo sguardo delle loro storie personali, della loro energia inespressa. Fino alla sintesi muta di Centro di permanenza temporanea, un lavoro di grande tensione e forte impatto emotivo, emblematico, girato sulla pista di un aeroporto dove uomini, donne, ragazzi di diverse etnie, disposti in una lunga coda, attendono di avanzare lentamente verso la scaletta dell’aereo. La camera ne ritrae i volti pensosi, rassegnati, sullo sfondo il rombo degli aerei che decollano. Quando si sofferma sui primi uomini che dovrebbero accedere all’aereo, un cambio di inquadratura consente di vedere che al di la della scaletta non c’e nessun aereo, che non ci sara nessuna partenza o nessun ritorno, ma solo una inutile attesa.

Yo no quero ver mas a mis vecinos, di Carlos Garaicoa, trasforma la semplice costruzione di un muro che divide il giardino dell’artista da quello dei vicini, fino a farla assurgere a metafora di tutti i ben piu terribili muri di confine che separano, o hanno separato nel tempo, situazioni storiche conflittuali.

Le immagini, accompagnate dal Pierrot lunaire di Schoenberg, presentano sinteticamente le diverse fasi della costruzione, restituendo l’azione in un bianco e nero rigoroso. La conclusione del lavoro, che in un certo senso sposa l’atmosfera prevalentemente ironico-satirica schoenberghiana, mostra un candido muro intonacato che non ha niente di bellicoso, che pero cede presto il posto a immagini fisse che documentano barriere sicuramente meno innocenti. Sejla Kameric invece, ci porta in una zona onirica con Dream House, ripresa di una casa, un rifugio, che sembra attraversi tempo e intemperie rimanendo sempre come riparo stabile, unico punto di riferimento sul paesaggio in sottofondo che cambia, quasi come un sogno per coloro che conoscono la condizione dell’esilio involontario. 

Gaza City di Armin Linke utilizza il materiale di repertorio appartenente ad una televisione locale di Gaza per raccontare la vita quotidiana faticosamente condotta da intere famiglie palestinesi. Le scene non posseggono tuttavia la violenza e nemmeno la spettacolarita alle quali ci hanno abituato i notiziari televisivi. Il dramma della condizione di tanti profughi espropriati dei loro territori si coglie piuttosto nei gesti affrettati e stanchi, negli sguardi rassegnati, nel silenzio che avvolge un esodo senza fine. La narrazione, estrapolata dal suo contesto originario, assume nella nuova configurazione e nel diverso montaggio un senso che va al di la del contenuto e interroga l’attuale pratica artistica della postproduzione, strategia che risponde alla proliferazione dell’immagine e dell’informazione nell’attuale cultura globale: un’annessione di forme sino ad ora ignorate dal mondo dell’arte contemporanea.

Nel brevissimo Border di Hans Op De Beeck, vediamo un’immagine a raggi x di un grande camion in movimento, ma uno sguardo piu attento rivela un piccolo gruppo di persone nascoste all’interno, udiamo amplificato il loro respiro e le loro voci sussurrate, persone ridotte a sagome luminose sepolte all’interno del cargo nella speranza di un altrove, condizionate dalla necessita e non dal desiderio.

In Rette convergenti di Paolo Meoni su uno sfondo di palazzi, in mezzo, come in un limbo, un gruppo colorito di ragazzi pakistani gioca a cricket, mentre in primo piano, le linee parallele e continue della pista ciclabile creano uno spazio astratto. I ragazzi sono ripresi nelle loro pause e movimenti, nei loro tic di gioco in un tempo infinito che si accorcia e si dilata grazie allo scorrere e all’apparire di figure, ombre e apparizioni del quotidiano. Il video pone ancora una volta l’accento sui territori sociali che caratterizzano ogni citta in cambiamento e come la comunicazione sia difficile in periodi di transizione.

Maria Jesus di Gianluca e Massimiliano De Serio e una docu-fiction: la storia vera di una donna peruviana (interpretata da se stessa) nelle mani dei trafficanti di immigrati. Da sempre, dicono i De Serio, ci interessa esplorare i confini che esistono tra realtà, memoria e rappresentazione, partendo da storie e drammi quotidiani, ma spesso invisibili. Maria Jesus rivive il suo dramma, lo re-inventa davanti alla macchina da presa e, mettendo in scena il suo ricordo, ri-elabora una tragedia personale e collettiva. Il film e come una confessione, intima e silenziosa, tra lei e noi, e, quindi, tra Maria Jesus e il pubblico, a meta tra il racconto di un fatto e il suo ricordo. Tempo del racconto e del ricordo gradualmente coincidono: Maria piange per ciò che le sta accadendo (recitando, nella finzione) e insieme per il ricordo di ciò che le e davvero accaduto.

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