#3_Editoriale_MAN MUG

25 Feb 2025

La bellezza ci salverà?

«Terribile ma stupenda». Così recitava uno dei commenti scritti, l’estate scorsa, sul libro delle firme del MAN. «Fa riflettere ed emoziona» diceva un altro. «Lascia senza parole e dimostra quale dovrebbe essere il ruolo di un museo sul territorio». La mostra in questione era “Diorama. Generation Earth” dedicata al rapporto iniquo fra uomo e mondo naturale.

C’erano esposti paradisi perduti, animali estinti ricreati con l’intelligenza artificiale, scarti dell’industria alimentare trasformati in trofei di fiori ingannevoli, ibridazioni scomode e creature mutanti frutto di manipolazioni genetiche. Roba tosta. 

Il rischio – toccando i nervi scoperti della nostra società – era quello di sollevare un boato di disgusto e di critiche da parte di animalisti o di reazionari nostalgici dell’antropocene. Invece, su un numero di quasi 20mila ingressi, le rare voci censorie sono state inghiottite da un coro di assensi struggenti, partecipi, dolorosi. Una ragazzina di diciassette anni, scendendo dalla scalinata, sotto quel gigantesco uovo di terra sospeso a mezz’aria che simulava un ideale ritorno alla natura mescolando le nostre spoglie mortali ai semi di una pianta, ha sospirato «mi scuote la coscienza». 

Forse, all’indomani di questo risultato inatteso e sorprendente, bisognerebbe tornare a riflettere sul ruolo delle mostre, sul senso stesso dell’esporre che – davanti a una quotidianità scossa dal condiviso sentimento di precarietà – non può limitarsi a celebrare la storia passata, ma dovrebbe sforzarsi di proiettarne il lascito in una dimensione di attualità e presenza.

Mentre le politiche ambientaliste soccombono di fronte agli interessi economici, dovremmo chiedere agli artisti di fare ciò che fece Bruegel con la sua Torre di Babele, o Goya con le incisioni al vetriolo nella serie dei Capricci e dei Disastri della guerra; oppure Munch con l’urlo che scosse l’Europa all’alba della modernità, e ancora Dix e Grosz con le loro denunzie violente agli orrori del conflitto. 

Non necessariamente arte militante o didascalica. Ma consapevole. In grado di affidare al filtro della poesia e della bellezza i contenuti necessari del nostro tempo. Perché il pubblico (e lo dimostrano i numeri in calo delle mostre mainstream…) non vuole essere confortato dalla sicurezza del passato, ma chiede proposte e visioni come antidoti alla fragilità del futuro.

Chiara Gatti

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