MAN_Museo d'Arte Provincia di Nuoro

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Mark Lewis

15.05  -  28.06.2009

Anticipando la partecipazione dell’artista alla 53^ Biennale di Venezia, il MAN di Nuoro ospita la prima antologica italiana di Mark Lewis (Hamilton, Canada, 1958). Alla Biennale Lewis è stato scelto per rappresentare il suo paese d’origine, il Canada, con lavori cinematografici realizzati nel 2009, al MAN sarà invece presente con un’ampia rassegna delle più importanti opere del periodo 1998-2008.

Dopo aver praticato la fotografia e realizzato diverse installazioni in spazi pubblici, Lewis rivolge la sua attenzione all’immagine in movimento e, a partire dalla metà degli anni Novanta, inizia ad esplorare linguaggi e forme del cinema con il fine di interrogarne la storia e le convenzioni. Le sue opere, spesso realizzate in cinemascope e trasferite in dvd, sono state proposte in tutte le grandi mostre internazionali che, nel corso degli anni, hanno tematizzato il crescente interesse dell’arte contemporanea per il medium cinematografico e, in breve, Lewis è divenuto uno degli autori maggiormente rappresentativi fra quanti utilizzano il cinema in ambito artistico.

Nello spirito dei primi film Lumière, le opere di Lewis, spesso caratterizzate da una ripresa continua e priva di montaggio, che restituisce un momento unitario di spazio e tempo, sono proiettate sotto la forma di piani-sequenza, direttamente sulle pareti dello spazio espositivo. Ogni opera, realizzata con i mezzi tecnici del cinema professionale (troupe, attori, pellicola da 35 mm), eccede di gran lunga la produzione necessaria alla realizzazione di un video, ma il risultato non è mai un film nel senso tradizionale del termine: nessuna di esse infatti racconta una storia e raramente la loro durata supera i 5 minuti.

Attraverso sottili movimenti della macchina da presa (zoom, travelling) e gusto del dettaglio, l’artista gioca con differenti strati di informazione e di codici visivi stabiliti, mettendo così alla prova la capacità d’attenzione dello spettatore e inducendolo a rivedere il film più volte per apprenderne tutti i risvolti e la misteriosa complessità. Mirabili operazioni di decostruzione del linguaggio cinematografico tradizionale, i suoi film proiettati a ciclo continuo reclamano di essere appresi alla maniera di opere visive, contribuendo a far saltare la linea di confine che per lungo tempo ha tenuto separati i rispettivi domini di cinema e arte contemporanea.

Veri intrighi visivi, privi di esplicita narrazione, questi film brevi e silenziosi non si limitano ad esplorare le convenzioni formali della settima arte, ma si interessano agli aspetti “cinematografici” del mondo in cui viviamo, nel quale le tecnologie dell’immagine in movimento hanno radicalmente trasformato la percezione spaziale e temporale. L’artista parla a questo proposito di “cinema permanente”.

Spesso nelle sue installazioni cinematografiche incentrate su luoghi dimessi e abbandonati, rovine dell’utopia modernista o paesaggi intemporali marcati dal passaggio della luce, modalità di ripresa, taglio delle inquadrature, movimenti di macchina donano all’immagine una intensità e una dimensione d’estraneità che fa oscillare senza posa il rapporto tra l’identità di ciò che vediamo e la percezione che ne abbiamo, rinviando alla tradizione del pittorico e del fotografico che ha forgiato la sensibilità dello sguardo occidentale.

Che utilizzi l’immagine fissa o in movimento, Lewis è sempre interessato a “ciò che resta dietro di noi allorché il mondo si sposta, o sembra spostarsi, in un’altra direzione”, un “dopo” che gli consente la più ampia libertà di indagine, senza alcuna costrizione di tempo.

Oggetto della ricerca di Lewis non sono solo e tanto i paesaggi esotici o gli ambienti impossibili, ma i luoghi della quotidianità che l’artista narra con l’intento di evidenziarne la forza, la potenza e la straordinarietà, caratteristiche che sono, a saperle vedere, anche dei luoghi più apparentemente abituali o “banali”. Dietro l’apparenza – sembra dirci Mark Lewis – non c’è la cosa in sé ma lo sguardo. È dunque a quest’ultimo che le sue opere si rivolgono. Esse non “rappresentano”ma “rendono presente qualcosa”tramite l’interdizione della loro “eloquenza” e della loro“trasparenza”.

Opere in mostra

The Pitch 1998, Central 1999, Smithfield 2000, North Circular 2000, Algonquin Park September 2001, Algonquin park Early March 2002, Children’s Games 2002, Harper Road 2003, Downtown, Tilt, Zoom, Pan 2005, Rush Hour 2005, Quesnay: Pan and Zoom, 2005, Spadina, Reverse Dolly, Zoom, Nude 2006, Golden Rod 2006, Rear Projection (Molly Parker) 2006, 5262 Washington Boulevard 2008, Brichlayers Arms 2008

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