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Marc Chagall

Mostri, chimere e figure ibride. Temi biblici

18.01  -  15.04.2008

Mostri, chimere e figure ibride

Chimere misteriose, metà uomo, metà bestia, oggetti compositi con testa umana e immaginari animali volanti attraversano l’intera opera di Marc Chagall.
Per la prima volta una mostra viene loro interamente dedicata. Certamente Chagall ha avuto modo di conoscere questi esseri ibridi osservando i demoni delle icone e le composizioni derivate dalla scultura medievale del suo paese natale, che l’artista ammirava profondamente. Chagall è stato altresì colpito dalla serie I Capricci di Goya, dove l’uomo assume sovente le fattezze di un asino. Più in generale, l’ibridazione, percepibile in tutta la storia dell’arte, ha influenzato l’immaginazione di Marc Chagall.

In questo senso, l’artista si colloca in una tradizione che comprende opere famose come il retablo di Issenheim, le composizioni di Jérôme Bosch o di Johann Füssli. In questa stessa tradizione provano a inserirsi alcuni dei suoi contemporanei. Infatti, da Picasso a Brancusi, da Hans Arp a Victor Brauner, i quadrupedi alati, le donne-uccello e altri mostri più o meno attraenti, costellano la produzione del XX secolo.

Nella iconografia di Chagall, l’ibridazione trova le sue figure ricorrenti: la testa umana viene sostituita da una testa di animale, le bestie hanno membra umane che servono loro per suonare la musica o dipingere; allo stesso modo, dai violoncelli dipinti da Chagall spuntano fuori braccia e testa e gli strumenti suonano da soli la loro melodia.
Quale significato possiamo attribuire a questi esseri? Al di là della dimensione simbolica o metaforica, non va escluso l’aspetto religioso, legato alle tradizioni hasidiche della regione di Vitebsk, città natale dell’artista. Inoltre, l’onnipresenza di animali domestici quali la mucca, la capra, il gallo, fa riaffiorare i ricordi di un’infanzia in compagnia di queste bestie. Lo zio dell’artista, di professione macellaio, sopprimeva le mucche sussurrando loro parole di conforto. La capra che suona il violino richiama alla mente le incantevoli feste rallegrate dalle dolci note del violinista ambulante. Il pesce ricorda la figura del padre, venditore di aringhe. E perfino il canto degli uccelli, che suonano il violino o lo shofàr, è simile alla musica divina.

Con l’umorismo che lo contraddistingue, l’artista non esita ad assumere vesti bestiali raffigurandosi con le fattezze di un gallo o di una capra, animale per il quale l’artista ha più volte espresso il suo affetto e la sua compassione. Anche l’asino, bestia umile ma al contempo messianica, è qui raffigurato come una possibile immagine dell’artista. 

Queste figure composite sono dunque sempre il segno di una sintesi poetica, che consente di vedere in una sola immagine questi diversi livelli di rappresentazioni. Nel 1941 André Breton sosteneva che, con Chagall, la metafora aveva fatto il suo ingresso nella pittura del XX secolo. Egli sottolineava altresì la capacità che il pittore aveva di «liberare l’oggetto dalle leggi della pesantezza, di abbattere la barriera degli elementi
e dei regni» e di tradurre, in un linguaggio plastico, le inquiete tracce del sogno nonché l’essenza degli esseri e delle cose.

Temi biblici

Chagall ebbe sempre a cuore i temi legati all’ebraismo e alla Bibbia: «Mi è sempre sembrato e mi sembra tuttora che la Bibbia sia la principale fonte di poesia di tutti i tempi [...] essa è stata l’alfabeto colorato in cui ho intinto i miei pennelli». Tutta la Bibbia è il grande codice, cioè il punto di riferimento imprescindibile della nostra cultura, è la stella polare a cui si sono orientati tutti, credenti e non, quando hanno cercato il bello, il vero e il bene, magari anche per respingere questa guida e vagare altrove.

Quando, nel 1930, il mercante d’arte ed editore Ambroise Vollard gli propose di illustrare proprio il libro sacro dell’ebraismo (impresa titanica che, dopo Rembrandt, non fu più tentata da alcun artista), Chagall accettò con comprensibile entusiasmo e umiltà. Ma prima di iniziare il lavoro, nel 1931 si imbarcò per la Palestina. Non fusoltanto un’esperienza spirituale, un pellegrinaggio o un ritorno alla terra d’origine, ma anche un’esperienza plastica: scoprì i paesaggi riarsi, essenziali, immersi in una luce sfolgorante. Le scene bibliche, incentrate sul tema dell’Uomo come creatura di
Dio, sono quadretti di vita di un villaggio ebreo di quei tempi e quindi connesse a un presente, a una quotidianità, di cui l’arte di Chagall riesce a svelare il mistero: «Chagall legge la Bibbia e subito i passi biblici diventano luce per tutti», scrisse, a questo proposito, il filosofo Gaston Bachelard.
Così, le opere di Marc Chagall si liberano del restrittivo valore confessionale, superano i limiti angusti di rappresentazione della religione ebraica, per abbracciare e acquisire un significato spirituale e poetico universale, proprio di ogni uomo e di ogni tempo.

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