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Franco Pinna

Sardegna 1961

23.08  -  16.09.2007

Sardo di nascita e protagonista di primo piano della fotografia e del fotogiornalismo italiani del secolo scorso, Franco Pinna gode ormai di fama universale. Lo resero celebre le sue esperienze nell’ambito della fotografia etnografica e antropologica al seguito di Ernesto De Martino e Franco Cagnetta, i suoi fotolibri, le straordinarie immagini della città di Roma negli anni 1952-1967, le indimenticabili fotografie di scena dei film di Federico Fellini, i reportage per le riviste Life, Stern, Sunday Times, Vogue, Paris Match, Epoca, L’Espresso e Panorama. Ma Franco Pinna non fu antropologo, non fu paparazzo, non fu militante politico né fotografo di scena, pur non avendo esercitato, in fondo, ognuna di queste attività. Fu un vero fotografo a tutto campo.

L’apparecchio meccanico era strumento per la sua meditazione, carpendo e fissando d’intuito le sfumature bianche e nere della fuggevole realtà; un’appendice del suo occhio, che con uno scatto cercava il significato di una storia qualsiasi dietro le apparenze. Così l’attività del reporter si faceva cronaca vibrante di un mondo in caotica evoluzione, e l’analisi sociale e di costume diveniva spesso spietata denuncia civile, espressione di un disagio interiore, non solo personale. A monte di tutto questo, senza contraddire la dichiarata tensione realistica, c’era una ricerca formale che alternava la poetica dell’istante, cara a Cartier-Bresson, conle pose lunghe, le inquadrature ribassate e quelle dall’alto, le immagini isolate e le sequenze cinematografiche, sempre in linea con una cura meticolosa nella resa di toni, dei dettagli e degli equilibri compositivi.

Una vita intesa dietro l’obbiettivo e nel cuore del mondo, un occhio chiuso e uno aperto, a vigilare sul presente, e sulla sua Sardegna. Altezza media, carnagione e capelli chiari, tratti più nordici che mediterannei, nessuna inflessione dialettale che potesse rivelare dove fosse nato. Per formazione, abitudini e mentalità, Franco Pinna era romano, ma sardo nell’anima. Un sardo esule. C’era un’attrazione viscerale per l’isola, che lo spinse negli anni 50-60 a tentare di recuperare il rapporto con la propria terra. Vi tornò nel novembre del 1953, dietro lo stimolo dell’antropologo Franco Cagnetta, autore della famosa inchiesta su Orgosolo che mitizzava l’arcaicità dell’isola. Un viaggio che gli consentì di conoscere proprio Orgosolo in occasione del rapimento-omicidio dell’ingegnere Davide Capra.

Da Cagnetta, Pinna estrasse l’orgoglioso archetipo della “razza guerriera” attraverso il quale pervenne a una sorta di identificazione con la gente sarda, rinnegando tutti gli aspetti della modernità che contrastavano con l’immagine mitica dell’isola. Il Franco Pinna che ritornò in Sardegna nel 1959 era all’apice della maturità professionale. Lo rivela soprattutto la serie dedicata al rito coreutico de s’argia, realizzata a Tonara nell’ambito delle richerche demartiniane sul tarantismo. L’omicidio della piccola Elena Cuccu, avvenuto a S.Priamo, lo obbligò a tornare in Sardegna nei primi mesi del 1960, per conto della rivista Noi Donne. La sua attività nel’isola produsse dei risultati notevoli nella primavera del 1961. Da Stintino a Nuoro, da Oristano a Cagliari, un’esperienza unica da cui trasse il suo fotolibro formalmente più significativo, Sardegna una civiltà di pietra. L’impetuosa crescita del banditismo tra il 1966 e il 1967 determinò le sue ultime presenze professionali in Sardegna. La caduta di credito dei sardi, risvegliò in lui l’orgoglio che lo portò a prendere posizione contro i pregiudizi. E così la partecipazione alle lotte sindacali dei pastori, ultimi baluardi della Sardegna più autentica e bistrattata, segnò l’epilogo del suo viaggio interiore volto alla riconquista delle proprie radici.

D’altronde anche la sua isola era alla fine di un ciclo, lontana per sempre da quella di Cagnetta, che persino nelle sue propaggini più tradizionaliste si protendeva verso una confusa modernità. Franco Pinna lo aveva capito. La frenesia del tempo aveva stravolto tutto. E da allora preferì non osservare più l’isola attraverso il suo terzo occhio.

Dai reportage del 1961, i più importanti tra tutti quelli da lui realizzati nella sua terra d’origine, già parte centrale del libro L’isola del rimorso - Fotografie in Sardegna 1953-67, provengono le 50 fotografie fra le più belle e celebri dell’autore. Era arrivato in Sardegna a febbraio, in concomitanza della festa del Carnevale, seguendo una campagna di registrazioni sonore condotta dal Centro Nazionale di Studi sulla Musica Popolare. Vi ritornò a più riprese tra la primavera e l’estate. Percorse l’isola in lungo e in largo - l’occhio attento alle sfumature, senza mai ammiccare all’esotico - fotografando i riti pasquali in Barbagia, le sagre di Sant’Efisio a Cagliari, di S.Francesco a Lula, per piombare nel pieno della campagna elettorale regionale. Dal mare alla montagna, fra i residui di un passato ancora vivo e i primi effetti dell modernizzazione:pastori, contadini, pescatori, minatori, la vita quotidiana, la preghiera, le feste in previsione di un fotolibro richiestogli dalla Lea, editrice dell’Automobil Club d’Italia.

Intitolato Sardegna una civiltà di pietra, fu pubblicato alla fine dello stesso anno, con un’introduzione dello scrittore Giuseppe Dessì e le didascalie dell’antropologo Antonio Pigliaru. Sardegna ’61: emozioni visive del percorso con cui Pinna ha voluto recuperare il rapporto passionale con la sua terra d’origine; ma anche testimonianze preziose e incomparabili di una Sardegna che in gran parte non esiste più. E che non possiamo far finta di non riconoscere.

 

 

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